Mentre
è passata sostanzialmente inosservata la Conferenza mondiale sul
clima delle
Nazioni
Unite tenutasi nel 2016 , dal 6 al 18 novembre si terrà a Bonn in
Germania la
Cop
23 (cioè la 23esima Conferenza delle parti) che si pone come
obiettivo quello di
rendere
operativi gli impegni sulla riduzione delle emissioni climalteranti
presi nella
tanto
celebrata Cop 21 svoltasi a Parigi nel 2015.
Il
punto è sempre quello, impedire che entro
la fine del secolo l'aumento della
temperatura
media globale superi i 2 gradi centigradi rispetto al periodo
preindustriale (meglio se 1,5).
Dopo
l'uscita degli Usa dal
gruppo dei Paesi più importanti per la realizzazione di
questo
obiettivo, la Cina (che si propone sempre più come capofila)
l'India, e l'Europa
"sembrano"
spingere affinché questa volta l'accordo diventi realmente
operativo.
Scrivo
"sembrano" perché per la stessa struttura e per le
modalità organizzative
dell'accordo
(che di fatto non è vincolante), la triste realtà è che tranne
alcuni singoli
Paesi
che si sono messi da tempo sulla strada di un serio contenimento
delle
emissioni
legiferando in materia e facendo rispettare le normative approvate,
tutti gli
altri
appaiono giocare un ruolo politico e strategico più che lavorare
concretamente
per
un vero cambiamento di rotta.
L'Italia,
eterno fanalino di coda anche in questa partita decisiva per le sorti
degli
ecosistemi,
dell'umanità e delle altre specie viventi, arriva all'incontro senza
neppure
avere
delineato con chiarezza gli interventi da realizzare nei prossimi
anni ma
favorendo,
per dirne una, la combustione di gas metano nella produzione di
energia
elettrica
piuttosto che sostenere le rinnovabili e disincentivare l'uso di
tutti i
combustibili
fossili.
Dunque,
nonostante l'enorme partita in gioco, ci troviamo nuovamente di
fronte ad un
"gioco
delle parti" che rischia di diventare drammatico in
considerazione del fatto che
il
riscaldamento globale e il conseguente caos climatico stanno
evolvendo con un
ritmo
ben più rapido di quanto era stato previsto anche solo due anni fa.
La
percentuale di 403 ppm (parti per milione) di CO2 attualmente
presenti in
atmosfera
(400 ppm nel 2015) e l'innalzamento della temperatura che sta
marciando
pericolosamente
verso la prospettiva dei 3 gradi in più, indicano chiaramente questa
impennata
.
Del
resto, decarbonizzare l'economia mondiale significherebbe non solo
mettere fuori
gioco
le grandi aziende multinazionali pubbliche e private del settore, ma
riscrivere
completamente
il tipo di economia (e di società) della produzione e del consumo
che
ci
ha trascinato in questa condizione.
Se
consideriamo quanto la classe politica internazionale sia legata a
doppio filo agli
interessi
economici dei grandi gruppi che orientano i mercati mondiali,
razionalmente,
c'è ben poco da sperare.
Ecco
perché, a mio avviso, nonostante tutta la gravità della situazione,
anche questa
volta
assisteremo a un incontro non decisivo e alla fine ogni Paese si
muoverà per
proprio
conto in un ordine sparso assolutamente insufficiente rispetto
all'unità di
impegni
di cui invece avremmo bisogno.
Questo
pericolosissimo stallo mi convince ancora di più del fatto che solo
le
comunità
locali possono fare la differenza, organizzandosi in modo resiliente,
modificando
la propria economia e non aspettando le decisioni dei governi e delle
Conferenze
Internazionali, che nella loro inettitudine, semmai possono solo
beneficiare
dei progetti su piccola scala e delle iniziative promosse dai
cittadini.
Teniamo
presente che non si può tornare indietro e che gli impatti negativi
a tutti i
livelli
che il caos climatico sta determinando e determinerà con maggiore
intensità
nei
prossimi anni, saranno una costante planetaria di lungo termine
(secoli)
specialmente
se, ed è esattamente il percorso che stiamo seguendo, la temperatura
media
schizzerà ben più in alto di quanto indicato dagli accordi
simbolici fin quei
sottoscritti.
In
conclusione, dobbiamo prepararci al peggio senza per questo
rinunciare a fare la
nostra
parte, come singoli, come gruppi e come società.
Ci
sono molti ostacoli da affrontare, esterni ed interni , la non
corretta informazione e
la
voglia di rimanere attaccati alle nostre abitudini per fare un
esempio, e se non ci
decidiamo
a rimuoverli in fretta, letteralmente sbatteremo violentemente contro
un
muro.
Ma
come sempre, cambiare si può e per cambiare è necessario passare
dal nostro
attuale
stato di inconsapevolezza a quello di una responsabilità attiva.
Questo
non è il caso in cui si può delegare qualcuno a risolvere un
problema, o ci
occupiamo
in prima persona del nostro futuro e di quello delle giovani
generazioni, o
il
peggio non avrà fine.
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