I
primi 70 anni della La Repubblica Popolare Cinese.
Parte I:
Le 3 fasi dell'economia.
Le celebrazioni per il
70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese
(Rpc), avvenuta il 1° ottobre 1949 ad opera di Mao Tse Tung e della
dirigenza del Partito Comunista Cinese (Pcc), ci offrono l'occasione
per una breve disamina delle varie fasi economiche e delle
trasformazioni sociali che hanno caratterizzato il gigante
asiatico. Partendo dall'analisi storica dell'economia, in questo
arco temporale, si individuano, a nostro avviso 3 distinti periodi:
1) L'era maoista
(1949-1978) caratterizzata da un'economia collettivista e pianificata
in attuazione dei principi marxisti-leninisti, rimodulati, in base al
pensiero del Grande timoniere, alle condizioni
economico-sociali cinesi (il cosiddetto Maoismo);
2)
La lenta
e graduale transizione economica
(1979-2001) dal socialismo al capitalismo, avviata da Deng Xiao Ping
(1978-1989) e proseguita da Jiang Zemin
(1989-2001);
3)
La fase del capitalismo globalizzato
(dal 2002 in avanti) dopo l'adesione al Wto che in pratica coincide
con le presidenze di Hu Jintao (2002-2012) e di Xi Jimping (dal 2012
presidente della Repubblica in carica).
L'era
maoista
Al
momento della fondazione la Rpc presentava condizioni estremamente
difficili sia dal punto di vista economico che sociale: risultava
infatti un paese arretrato e quasi totalmente rurale sia per quanto
riguarda le attività economiche prevalenti che per l'insediamento
abitativo, con condizioni di vita della popolazione (all'epoca circa
550 milioni1)
molto precarie. Inoltre, risultava in situazione disastrata a seguito
di lunghe e travagliate vicende belliche che si sono susseguite per
circa 25 anni: dalla Guerra civile fra Nazionalisti e Comunisti
(1927-1937), interrotta per far fronte
comune all'aggressione nipponica (1937-1945)2
e ripresa, dopo
la vittoria nella II Guerra mondiale, sino al successo finale
dell'Armata Rossa Cinese (1945-1949).
Attività belliche ben presto riaccese a causa dello scoppio della
Guerra di Corea (1950-1953) contro gli Stati Uniti.
L'opera
che si presentava alla dirigenza comunista era di enormi dimensioni:
far fronte alle necessità impellenti di una popolazione provata,
creare la struttura di un nuovo stato e organizzare l'economia su
basi collettivistiche. In quest'ottica il governo procedette, quindi,
all'attuazione di una Riforma agraria integrale smantellando i grandi
latifondi, alla creazione delle Comuni popolari nelle campagne, alla
realizzazione delle infrastrutture economiche e di servizi e allo
sviluppo, col primo piano quinquennale (1953-57),
dell'industrializzazione, dando priorità, seguendo il modello
sovietico, all'industria pesante.
Ricostruzioni
storiche superficiali e servizi giornalistici condizionati da
posizioni preconcette3
attribuiscono al'era maoista connotati di bassa crescita economica e
di mancato sviluppo sociale, fase che, invece, alla luce di riscontri
storici oggettivi assume tutt'altre caratteristiche. Infatti, benché
tale periodo sia stato interessato da errori (come il Grande balzo in
avanti 1958-61 con gravi ripercussioni sociali ed economiche) e da
battute d'arresto (come la Rivoluzione culturale 1966-1976), il
governo è riuscito a creare servizi gratuiti per la popolazione, a
realizzare le indispensabili infrastrutture e ad avviare lo sviluppo
economico (vedi grafico 1). Infatti, come afferma l'economista e
sociologo Minqi Li4
«anche se l'andamento economico della Cina è stata spettacolare dal
1978 in avanti, non è stato disastroso tra il 1952 e il 1978. Nel
corso di questi anni il Pil cinese è cresciuto ad una media annua
del 4,39%». Ed è risultato proprio il decollo industriale a
trainare il non indifferente sviluppo economico della fase maoista
come spiega l'economista Giovanni Arrighi5,
«già nel 1970 la Cina aveva una base industriale che impiegava
qualcosa come 50 milioni di operai e pesava per più di metà del suo
Pil. Il valore del suo prodotto industriale lordo era cresciuto di 38
volte e quello dell'industria pesante di 90 volte».
Grafico
1: andamento dell'economia cinese dal 1952 al 2012 (PPP: a
Parità di Potere d'Acquisto)
Anche
in campo sociale a seguito delle politiche economiche socialiste sono
stati raggiunti risultati impensabili per un paese del Sud del mondo
del secondo Dopoguerra, infatti, oltre alla parificazione dei diritti
fra uomini e donne, prosegue Arrighi: «alla maggior parte della
popolazione, prima analfabeta, era stato insegnato a leggere e
scrivere (il tasso di alfabetizzazione era infatti salito dal 20 % nel 1949 ad oltre 80 % di trenta anni dopo). Un sistema sanitario pubblico era stato creato dove non ne era mai
esistito alcuno. La speranza di vita media era aumentata da 35 a 65
anni».
La
transizione al capitalismo
Alla morte di Mao nel
1976 seguirono 2 anni di instabilità politica e di lotte intestine
al Pcc che sfociarono nella vittoria dell'ala riformista che portò
alla presidenza Den Xiao Ping. Il 22 dicembre 1978, Il neo presidente
fece approvare "La
politica di
Riforme e Apertura economica" al Comitato Centrale
del Partito Comunista Cinese, decidendo di porsi come priorità la
crescita economica del paese e, convinto che per ottenerla in tempi
rapidi sarebbe stato indispensabile anche il capitale privato, optò
per l'apertura all’economia di mercato. Per lo stesso motivo decise
di integrarsi nell’economia internazionale, con un duplice
obiettivo: da un lato richiamare investimenti diretti esteri (Ide)
per favorire l'insediamento di imprese private e la nascita di joint
ventures a capitale misto pubblico/privato e dall'altro
accumulare valuta estera tramite l'export, per permettere alle
imprese di stato di acquistare tecnologia straniera. A tale scopo fra
il 1979 e il 1980 il governo cinese approvò la creazione di prime 4
Zone Economiche Speciali (Zes) nelle città di Shenzhen, Zhuhai,
Shantou, e Xiamen, tutte sulla costa meridionale del paese. Il
successo riscosso dalle prime ZES spinse, nel 1984, le autorità
cinesi ad espandere ulteriormente il processo di apertura
dell’economia verso l’esterno, procedendo nello stesso anno alla
fondazione di altre 14 Zes in altrettante città costiere, fra cui
Shanghai e Guangzhou (Canton), in modo che anch’esse fungessero da
motori per la crescita economica del paese6.
Significative riforme
economiche interessarono in primis, ad inizio anni '80, il settore
agricolo: allo scopo di aumentare la produttività dei terreni, venne
inizialmente concesso ai contadini di trattenere e vendere in proprio
la parte di raccolto che eccedeva la quota di produzione assegnata
dallo stato. Ciò comportò negli anni successivi lo smantellamento
del sistema della Comuni e la terra, pur rimanendo proprietà statale
o collettiva, venne concessa in affitto ai contadini in modo che
potesse essere utilizzata sul modello dell'economia di mercato,
conseguendo un cospicuo aumento delle produzioni agricole, in breve
tempo raddoppiate, e del tenore di vita delle aree rurali, come
confermato dal funzionario Fao Fang Cheng:
"solo nel quinquennio 1980-85, agli albori della svolta
riformatrice, la ricchezza pro-capite nelle campagne è aumentata del
90%"7.
Nel 1988 tramite un emendamento all’articolo
11 della Costituzione, il settore privato, viene definito come una
“componente importante” dell’economia, e successivamente, nel
1999, altra modifica dello stesso articolo ne riconosce il ruolo
sempre più centrale nell’economia8.
Sempre nel 1988, l’articolo 11 della
Costituzione viene emendato anche in relazione all'introduzione della
figura delle imprese private, con successiva emanazione di due brevi
regolamenti provvisori che
definirono tre nuove tipologie di impresa privata diverse da quella
individuale, soggetto giuridico peraltro già previsto da un
ventennio in ambito commerciale e artigianale: l'impresa di proprietà
di un solo investitore, la hehuo (corrispondente
alla nostra Snc,) e la società privata a responsabilità limitata9.
Le imprese statali, inoltre, acquisirono autonomia con la legge del
13 aprile 1988 la quale sanciva anche il principio della separazione
della proprietà dell'impresa da quella della proprietà dei
beni dell'impresa, con quest'ultima
che sarebbe rimasta in mano pubblica.
Sul versante economico,
le scelte compiute dalla leadership cinese restarono in sostanza
reversibili fino al 1991, quando il sistema di pianificazione
economica aveva continuato a rivestire ruolo centrale nell’economia
urbana. Le principali decisioni politiche assunte dal XIV congresso
del Pcc nel 1992, frutto di compromesso tra riformisti e
massimalisti, ebbero un impatto decisivo sull’elaborazione di un
nuovo regime di crescita economica e di un originale modello
economico che la dirigenza comunista definì "economia
socialista di mercato" e sul quale disseteremo in seguito.
L'economia cinese si
affrancò quindi dal sistema d'ispirazione sovietico: il Pcc e lo
Stato continuarono ad esercitare il loro controllo sulle più grandi
imprese della Rpc, ma aprirono alla possibilità di privatizzare le
piccole e medie imprese pubbliche. Il sistema fiscale, dopo il
decentramento introdotto con la Rivoluzione culturale (1966-76), fu
nuovamente centralizzato e il mercato del lavoro venne
deregolamentato mediante il superamento del sistema maoista detto
della “ciotola di riso ferrea”. L’accantonamento del modello
sovietico segnò di fatto la fine del sistema economico socialista
puro, aprendo la strada a riforme strutturali, tra cui quella del
settore pubblico.
La deregolamentazione del
mercato del lavoro nei contesti urbani, da un lato provocò lo
smantellamento di un sistema di protezione sociale che garantiva ai
lavoratori delle città l’impiego a vita, oltre all’alloggio e a
un welfare impensabile nelle zone rurali del paese, dall'altro portò
alla revoca del divieto di assumere lavoratori provenienti dalle
campagne, modificando radicalmente gli equilibri di potere tra
lavoratori e datori di lavoro. Questi ultimi si trovarono liberi di
definire i salari, vincolandoli alla produttività del lavoro, il cui
successivo aumento sarebbe andato esclusivamente a beneficio degli
imprenditori. Le imprese private cinesi, in questa fase riuscirono a
incrementare i propri flussi di cassa e a modernizzarsi investendo
massicciamente su nuova capacità produttiva.10Anche
il generoso stato sociale dell'era maoista, come accennato, non
sfuggì alla politica delle riforme subendo sensibili
ridimensionamenti in campo previdenziale e sanitario, ma non in
quello dell'istruzione, a discapito delle fasce sociali più deboli
della popolazione, innescando un processo di divaricazione sociale e,
dopo gli anni '90, anche territoriale, che da alcuni anni il governo
sta cercando di contrastare e sul quale ci soffermeremo nella parte
finale del saggio.
I successi economici
conseguiti durante il primo ventennio (addirittura con una crescita
media del 10,43% negli anni '90) posero in evidenza la necessità di
intervenire anche sul sistema finanziario e su quello delle maggiori
imprese statali che sino a quel momento ne erano stati marginalmente
interessati: il presidente Jang Zemin durante il XV congresso
nazionale del PCC del 1997 annunciò il piano di privatizzazione
delle grandi imprese di stato relativamente ad alcuni comparti non
strategici. Progetto portato a compimento con successo entro la fine
del secolo tramite chiusura di quelle inefficienti e la vendita ai
privati di quelle oggetto di trasformazione e/o modernizzazione.
Questo provvedimento accentuò, di lì a breve, la pianificata,
riduzione del peso dello stato nell'economia a vantaggio del settore
privato: nel 2005, infatti, per la prima volta le imprese private
arrivarono a fornire un contributo al Pil superiore rispetto a quello
del comparto pubblico.
A livello macroeconomico,
questo processo coincise con l’emergere, nei tardi anni Novanta, di
un nuovo regime di crescita basato sempre più sugli investimenti a
discapito dei consumi, i quali, infatti, scenderanno dal 51% del Pil
nel 1992 al 36% nel 2006, mentre i primi, dal 34% sul Pil nel 1996,
saliranno al 46% nel 2010. La trasformazione del sistema economico
socialista, inoltre, aprì la strada nel 1998 alla privatizzazione
dell’edilizia abitativa urbana con conseguente massiccio
trasferimento delle proprietà di Stato alle famiglie. In un breve
arco di tempo, queste diventarono infatti proprietarie di case
ottenute a prezzi ben più bassi di quelli di mercato. Quest’ondata
di privatizzazione degli alloggi diede origine, a cavallo del cambio
di millennio, al boom del settore immobiliare con la possibilità per
le famiglie di rivendere, a prezzi di mercato, le abitazioni
precedentemente acquistate.
In sintesi, in Cina
all'interno di una economia pianificata, nell'arco di un ventennio,
sono stati gradualmente inseriti elementi capitalistici, prima
tramite società straniere e joint ventures stato/investitori esteri
e, successivamente, dando la possibilità di fare impresa, sia in
forma collettivistica che individuale, anche ai cittadini cinesi,
creando in tal modo i presupposti per la trasformazione del sistema
economico e per il definitivo decollo dei decenni successivi. Questi
due obiettivi vennero perseguiti dal governo cinese spingendo sulla
crescita delle esportazioni a buon mercato, grazie a salari molto
bassi e offrendo una serie di garanzie agli investitori esteri11.
Dobbiamo tuttavia
rilevare che, in questa fase, l’inadeguatezza delle politiche
ridistributive, la mancanza di libertà d’associazione sindacale e
i vincoli posti a tutte le espressioni spontanee di azione
collettiva, che avrebbero potuto bilanciare il controllo del Pcc
sull’economia del paese, hanno favorito l’esplosione delle
disuguaglianze in seno alla società cinese.
La fase del
capitalismo globalizzato
Nell'intento di
proseguire sul percorso di liberalizzazione dell'economia, il governo
cinese procedette ad avviare riforme tese gradualmente ad allineare
il proprio sistema normativo a quello delle grandi organizzazioni
capitalistiche internazionali. In particolare questo processo
consentì alla Cina di aderire nel dicembre 2001 al Wto (World Trade
Organization) e di entrare a pieno titolo nel sistema economico
globalizzato.
L'adesione al Wto è un
passaggio fondamentale che conduce nella terza fase dell'economia
cinese contemporanea, avendo sancito l'apertura ufficiale della Cina
al libero commercio con l'estero. Ciò favorì l’ingresso di
maggiori investimenti diretti esteri (Ide) nel paese. È
proprio in questo periodo che si sviluppò fortemente il fenomeno
della delocalizzazione industriale delle imprese occidentali in Cina.
L'abbattimento delle barriere protezionistiche, il basso costo della
manodopera e l’assenza di sindacati combattivi e di norme
ambientali restrittive costituirono, in questa fase, fattori di forte
attrazione per molte aziende occidentali e di effetto volano
per la nascita di nuove imprese sia pubbliche che private cinesi.
Successivamente
all'entrata nel Wto, allo scopo di armonizzare anche il quadro
costituzionale alla nuova situazione socio-economica, nel 2004 furono
apportati numerosi emendamenti alla Costituzione della Repubblica
Popolare fra i quali spiccava quello riguardante la protezione della
proprietà privata, regolamentata in seguito da apposita legge del
2007 che, fra le varie, manteneva le 3 forme di proprietà della
terra già precedentemente contemplate: pubblica, demaniale e
collettiva, quest'ultima esercitata tramite istituzioni locali.
Questa disposizione, nel contesto di un quadro giuridico non
perfettamente definito, garantiva il diritto ai privati di ottenere
la terra in affitto per lunghi periodi: 70 anni a scopo residenziale
e, rispettivamente, 50 e 40 per attività industriali e commerciali.
Stessa condizione riservata ai terreni
agricoli, per i quali ai contadini viene ceduto il diritto d’uso, a
sua volta cedibile a terzi.
Queste ultime riforme,
grazie anche all'effetto traino dell'esplosione del commercio estero
(grafico 2), hanno alimentato ulteriormente la crescita cinese
sospingendo la Rpc nella scalata della graduatoria delle potenze
economiche mondiali; infatti, se l'economia era aumentata di circa il
10% annuo fra il 1990 e 2004, nel triennio successivo ha continuato a
salire sino al 14% del 2007 portando il Pil a 3.389 miliardi di $,
scalzando la Germania dal terzo posto a livello mondiale. La crisi
globale del 2008-09 che ha gettato in recessione le economie
occidentali, ha invece provocato solo un rallentamento della crescita
cinese che da allora ha iniziato ad attestarsi su valori intorno al
10% consentendo alla Rpc, pertanto, di continuare a guadagnare
terreno rispetto ai paesi sviluppati. Nel 2010 infatti, raggiungendo
i 5.900 miliardi di $ di Pil, la Cina, ha sopravanzato il Giappone
(5.400 $) divenendo la seconda potenza economica mondiale12
e addirittura in base al Pil a Parità di Potere di Acquisto avrebbe
sopravanzato gli Stati Uniti addirittura dal 201413.
Grafico 2: andamento
import-export Repubblica Popolare Cinese anni 1989-2018.
Riassumendo, a seguito
delle riforme liberalizzatrici di Deng Xiao Ping, viene implementato,
fra accelerazioni e rallentamenti, uno sperimentale processo di
apertura e di trasformazione del sistema economico, riassunto nel
calzante aforisma denghiano "attraversare il fiume tastando
le pietre", finalizzato al decollo dell'economia nazionale.
Processo di sviluppo che iniziato negli anni '80, si consolida nel
decennio successivo, per poi esplodere nei primi anni 2000 e
ripiegare, dopo la crisi 2008-9, su valori più bassi (grafico 1) a
causa sia della riduzione della domanda mondiale, provocata dalla
recessione globale che ha inevitabilmente inciso su un'economia
mercantilistica come quella cinese, che del fisiologico percorso di
sviluppo dell'economia che prevede, dopo un picco iniziale, un
inevitabile rallentamento dei tassi.
Alla luce dei risultati
possiamo affermare che, ad oggi, gli obiettivi prefissati da Deng nel
1978 sono stati pienamente centrati, se consideriamo l'eccezionale
crescita economica e che le riserve di valuta estera, grazie al
surplus commerciale, sono passate da 5,8 miliardi di dollari nel 1980
a 3.070 miliardi nel 2018 e il notevole progresso sociale registrato
fra il 1979 e il 2018, periodo in cui la speranza di vita media è
salita da 66 a 76 anni e la mortalità infantile nel primo anno di
vita dal 52,6 per 1.000 è precipitata all'8,114.
Andrea Vento - 22
dicembre 2019
Gruppo Insegnanti di
Geografia Autorganizzati
2
Preceduta dall'invasione della Manciuria nel 1931 ove L'Impero
giapponese creò nel 1932 lo stato vassallo del Manciukò, con a
capo Pu Yi l'ultimo imperatore cinese della dinastia dei Qing
deposto nel 1911.
3
Un esempio fra i molti che affollano i media nazionali negli ultimi
mesi, nell'articolo del Sole 24 ore del
20/12/2018 di Giovanni Cacccaviello dal titolo "Cina 1978-2018:
da Deng a Xi ha vinto l'abbraccio al capitalismo" si definisce
il periodo maoista addirittura "un periodo di ulteriore
involuzione economica, sociale e politica" senza peraltro
citare alcun dato a supporto di tale affermazione.
4
Minqi Li (economista cinese, analista dei sistemi
mondiali e storico scienziato sociale, attualmente professore di
Economia all'Università dello Utah)., The rise of China and the
demise of the Capitalist World Economy, Londra, 2008.
5
Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine
mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri,
2010.
6
Victor F. S. SIT, “China’s export oriented open areas: the
export processing zone concept”, Asian Survey, 28, 6, 1988,
8
Si veda: M. Miranda, “Le nuove prospettive
di sviluppo del settore privato nella Rpc – la politica del
partito”, Mondo Cinese,
n. 108, luglio- settembre 2001 , pp.11 -25
9
Per approfondimento sulla riforma del diritto commerciale,
consultare "Il caso delle imprese" in "Tendenze
del diritto commerciale cinese dopo Tiananmen"
https://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/083_084/083_cava.htm
10
Tratto da "Anno 1992: il momento di svolta per la politica di
riforma e apertura della Cina" di Jean-François Huchet
11
Tesi di Laurea "Le Zone Economiche Speciali in Cina e a Taiwan
come motori per lo sviluppo economico: un confronto" di Elisa
Lion -
http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/4434/822220-1173652.pdf?sequence=2