"I
medici dell'Università di Rosario (Argentina) contro la Monsanto"
di
Aldo
Zanchetta
Nota
introduttiva. Questo intervento è stato ricavato da un testo più
ampio, intitolato “I nuovi modi del sapere” e preparato da Aldo
Zanchetta in occasione della prima serata della Carovana della
Solidarietà, che si è svolta l'8 Luglio 2016 a Livorno al Circolo
Arci Le Colline.
Il tema
degli OGM e del glifosato e dei suoi effetti di cui altri hanno
parlato prima di me, ci offre lo spunto per parlare di una
esperienza, che ritengo molto significativa, di un modo di affrontare
i problemi dal punto di vista della complessità.
Recentemente
l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ammesso che l’impiego
esteso del diserbante glifosato in agricoltura PUO’ causare tumori.
La dichiarazione dice esattamente così: “Vi sono prove convincenti
che il glifosato può causare cancro in animali di laboratorio e vi
sono prove limitate di carcinogenicità in esseri umani (linfoma di
Hogdin).” Di fronte a questa presa d’atto il minimo che si
dovrebbe fare è di applicare il “principio di precauzione” e
sospendere l’uso del glifosato. Ma la scienza predominante oggi non
è di questo avviso e sicura del proprio modo di sapere applica
sempre meno questa cautela, ritenendolo inutile nel caso degli OGM,
come ben appare nei ripetuti interventi sulla stampa della “nostra”
scienziata premio Nobel Elena Cattaneo sui problemi
dell’autorizzazione alla coltivazione in Italia del mais
geneticamente modificato.
La
popolazione campesina argentina, che vive nelle zone di estesissime
mono-produzione della soia transgenica con annesso uso di glifosato,
invece SA già da molti anni che il glifosato usato come suo
diserbante produce tumori, malformazione nei feti, aborti spontanei
etc. In Argentina la produzione della soia ha raggiunto l’estensione
di 28 milioni di ettari (quasi l’intera superficie dell’Italia) e
il glifosato corrispondente, valutato in 320 milioni di litri viene
irrorato da piccoli aerei che volano a bassa quota, e uno dei
cosiddetti “effetti collaterali” è di irrorare i piccoli centri
abitati circondati dal queste coltivazioni.
La
Monsanto, la ditta produttrice del glifosato, possiede enormi
strumenti di pressione sul mondo scientifico per orientare e
controllare le ricerche sugli effetti del glifosato. Due strumenti a
sua disposizione sono la corruzione monetaria e l’assegnazione di
fondi per la ricerca.
In
Argentina dove, come in ogni altro paese questa minaccia ha generato
estesi asservimenti o spinto al silenzio per convenienza o paura
ampi settori del mondo scientifico, un biologo di valore mondiale ma
praticamente sconosciuto all’opinione pubblica europea, Andrés
Carrasco, deceduto nel 2014, ha condotto per anni una strenua
battaglia contro gli OGM e contro gli effetti del glifosato,
osteggiato e penalizzato professionalmente dai politici e isolato da
molti suoi colleghi.
Il suo
messaggio venne però raccolto fin dal 2007 da alcuni suoi colleghi
della facoltà di Medicina dell’Università di Rosario, città
argentina, in pieno territorio di coltivazione intensiva, istituendo
per gli studenti laureandi la partecipazione obbligatoria di una
settimana nei cosiddetti “accampamenti della salute”, dove varie
decine di studenti, con la presenza dei loro professori, eseguono una
“mappatura” dello stato di salute nei villaggi posti in località
critiche. Portando così fuori dal chiuso dei laboratori e
coinvolgendoli in un lavoro medico sul campo, secondo le
raccomandazioni di Carrasco: <<La
prova maggiore degli effetti degli agro-tossici non dovete cercarli
nei laboratori ma andare nelle comunità sottoposte a fumigazione>>
(cioè con uso massivo del glifosato per dispersione aerea).
La stessa
università di Rosario, per ricordar Carrasco dopo la sua morte, nel
2014 ha istituito nel suo nome le “Settimane per la Scienza Degna”,
dove annualmente scienziati di vari paesi e organizzazioni sociali di
lotta ai transgenici e al glifosato come ad ogni altra forma di
“guerra chimica contro i popoli” (Zibechi) si riuniscono per
scambiare esperienze e approfondire gli studi sugli effetti e sui
rimedi ma anche sostenere le lotte contro questo tipo di
coltivazioni. In queste settimane oltre a personaggi del mondo
scientifico sono invitati, horribile
dictu, esponenti dei movimenti sociali
e delle comunità contadine in lotta, per intercambiare le
esperienze, quelle all’interno dei laboratori di ricerca e quelle
in vivo
di chi sperimenta sulla propria pelle gli effetti della moderna
agrochimica.
Questa
esperienza, unica nel suo genere a quanto mi consta, è un esplicito
riconoscimento che la scienza ufficiale, quella con la S maiuscola,
non è l’unica fonte riconosciuta e autosufficiente del sapere.
Secondo
segnalazioni fattemi da amici latinoamericani, altre Università
titolate di altri paesi dell’America Latina si stanno muovendo in
questo senso, sulle quali sto cercando di documentarmi. Così la
Pontificia Università San Marco di Lima e una università gesuita in
Messico di cui non ricordo il nome, stanno tentando di aprirsi al
dialogo con i saperi popolari, troppo presto gettati alle ortiche
dalla scienza ufficiale. E questo, naturalmente, non solo nel settore
dei saperi agricoli ma dei saperi popolari in genere. Non si deve
dimenticare che l’America Latina è la patria della “teologia
della liberazione” e che è un papa argentino il promotore della
prima grande enciclica ecologica: “Laudato si”.
Ma in
molti luoghi dell’A.L., nel mondo di “quelli in basso”, e nel
mondo indigeno in particolare, che sta vivendo una vera rinascita
storica, il recupero dei saperi ancestrali e la loro rielaborazione è
in pieno sviluppo.
Ne sono
due esempi estremamente significativi le due Università della Terra
di San Cristobal de las Casas in Chiapas e di Oaxaca, diverse fra
loro ma entrambe radicate nel territorio in cui operano. Ma in molti
altri luoghi il processo è in atto in maniera sorprendente. Ramón
Vera, un militante messicano di base scrive:
I
villaggi, le comunità, le collettività indigene e contadine, ma
anche i collettivi urbani delle periferie e delle favelas sanno che
per rompere le recinzioni devono rivendicare la propria capacità di
sussistenza, la produzione autonoma di alimenti, la costruzione
collettiva di saperi non
certificati,
la propria storia, la propria analisi delle condizioni che pesano sul
territorio, i propri canali su cui fare affidamento, la propria
iniziativa, la propria integrale e radicale capacità di
autogestione.
Lavorare
per progetti comunitari condivisi, insistere sugli spazi di
riflessione collettiva,recuperare la storia, approfondire le analisi
e rafforzare la creatività sociale fa crescere infatti modi
pertinenti di apprendere che sono diversi dall’addomesticamento
imposto dalla scuola occidentale.
In
questo spirito mi pare che operi, in
modo forse più modesto ma significativo, anche l’esperienza della
Libera Università Popolare di Livorno, per aiutare a liberare dal
basso la nostra cultura dalla camicia di forza impostale dal pensiero
capitalista, patriarcale, individualista, competitivista che ci sta
portando a quella guerra di tutti contro tutti che ci sta
sovrastando.
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