Post in evidenza

Cordoglio per la prematura scomparsa di Alfredo Viloria

Cordoglio per la prematura scomparsa di Alfredo Viloria. Nel tardo pomeriggio di martedì 29 Dicembre si è diffusa la terribile notizia della...

mercoledì 13 luglio 2016

L'intervento di Aldo Zanchetta per la prima serata della Carovana della Solidarietà

"I medici dell'Università di Rosario (Argentina) contro la Monsanto"
di
Aldo Zanchetta
Nota introduttiva. Questo intervento è stato ricavato da un testo più ampio, intitolato “I nuovi modi del sapere” e preparato da Aldo Zanchetta in occasione della prima serata della Carovana della Solidarietà, che si è svolta l'8 Luglio 2016 a Livorno al Circolo Arci Le Colline. 
 
Il tema degli OGM e del glifosato e dei suoi effetti di cui altri hanno parlato prima di me, ci offre lo spunto per parlare di una esperienza, che ritengo molto significativa, di un modo di affrontare i problemi dal punto di vista della complessità.
Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ammesso che l’impiego esteso del diserbante glifosato in agricoltura PUO’ causare tumori. La dichiarazione dice esattamente così: “Vi sono prove convincenti che il glifosato può causare cancro in animali di laboratorio e vi sono prove limitate di carcinogenicità in esseri umani (linfoma di Hogdin).” Di fronte a questa presa d’atto il minimo che si dovrebbe fare è di applicare il “principio di precauzione” e sospendere l’uso del glifosato. Ma la scienza predominante oggi non è di questo avviso e sicura del proprio modo di sapere applica sempre meno questa cautela, ritenendolo inutile nel caso degli OGM, come ben appare nei ripetuti interventi sulla stampa della “nostra” scienziata premio Nobel Elena Cattaneo sui problemi dell’autorizzazione alla coltivazione in Italia del mais geneticamente modificato.
La popolazione campesina argentina, che vive nelle zone di estesissime mono-produzione della soia transgenica con annesso uso di glifosato, invece SA già da molti anni che il glifosato usato come suo diserbante produce tumori, malformazione nei feti, aborti spontanei etc. In Argentina la produzione della soia ha raggiunto l’estensione di 28 milioni di ettari (quasi l’intera superficie dell’Italia) e il glifosato corrispondente, valutato in 320 milioni di litri viene irrorato da piccoli aerei che volano a bassa quota, e uno dei cosiddetti “effetti collaterali” è di irrorare i piccoli centri abitati circondati dal queste coltivazioni.
La Monsanto, la ditta produttrice del glifosato, possiede enormi strumenti di pressione sul mondo scientifico per orientare e controllare le ricerche sugli effetti del glifosato. Due strumenti a sua disposizione sono la corruzione monetaria e l’assegnazione di fondi per la ricerca.
In Argentina dove, come in ogni altro paese questa minaccia ha generato estesi asservimenti o spinto al silenzio per convenienza o paura ampi settori del mondo scientifico, un biologo di valore mondiale ma praticamente sconosciuto all’opinione pubblica europea, Andrés Carrasco, deceduto nel 2014, ha condotto per anni una strenua battaglia contro gli OGM e contro gli effetti del glifosato, osteggiato e penalizzato professionalmente dai politici e isolato da molti suoi colleghi.
Il suo messaggio venne però raccolto fin dal 2007 da alcuni suoi colleghi della facoltà di Medicina dell’Università di Rosario, città argentina, in pieno territorio di coltivazione intensiva, istituendo per gli studenti laureandi la partecipazione obbligatoria di una settimana nei cosiddetti “accampamenti della salute”, dove varie decine di studenti, con la presenza dei loro professori, eseguono una “mappatura” dello stato di salute nei villaggi posti in località critiche. Portando così fuori dal chiuso dei laboratori e coinvolgendoli in un lavoro medico sul campo, secondo le raccomandazioni di Carrasco: <<La prova maggiore degli effetti degli agro-tossici non dovete cercarli nei laboratori ma andare nelle comunità sottoposte a fumigazione>> (cioè con uso massivo del glifosato per dispersione aerea).
La stessa università di Rosario, per ricordar Carrasco dopo la sua morte, nel 2014 ha istituito nel suo nome le “Settimane per la Scienza Degna”, dove annualmente scienziati di vari paesi e organizzazioni sociali di lotta ai transgenici e al glifosato come ad ogni altra forma di “guerra chimica contro i popoli” (Zibechi) si riuniscono per scambiare esperienze e approfondire gli studi sugli effetti e sui rimedi ma anche sostenere le lotte contro questo tipo di coltivazioni. In queste settimane oltre a personaggi del mondo scientifico sono invitati, horribile dictu, esponenti dei movimenti sociali e delle comunità contadine in lotta, per intercambiare le esperienze, quelle all’interno dei laboratori di ricerca e quelle in vivo di chi sperimenta sulla propria pelle gli effetti della moderna agrochimica.
Questa esperienza, unica nel suo genere a quanto mi consta, è un esplicito riconoscimento che la scienza ufficiale, quella con la S maiuscola, non è l’unica fonte riconosciuta e autosufficiente del sapere.
Secondo segnalazioni fattemi da amici latinoamericani, altre Università titolate di altri paesi dell’America Latina si stanno muovendo in questo senso, sulle quali sto cercando di documentarmi. Così la Pontificia Università San Marco di Lima e una università gesuita in Messico di cui non ricordo il nome, stanno tentando di aprirsi al dialogo con i saperi popolari, troppo presto gettati alle ortiche dalla scienza ufficiale. E questo, naturalmente, non solo nel settore dei saperi agricoli ma dei saperi popolari in genere. Non si deve dimenticare che l’America Latina è la patria della “teologia della liberazione” e che è un papa argentino il promotore della prima grande enciclica ecologica: “Laudato si”.
Ma in molti luoghi dell’A.L., nel mondo di “quelli in basso”, e nel mondo indigeno in particolare, che sta vivendo una vera rinascita storica, il recupero dei saperi ancestrali e la loro rielaborazione è in pieno sviluppo.
Ne sono due esempi estremamente significativi le due Università della Terra di San Cristobal de las Casas in Chiapas e di Oaxaca, diverse fra loro ma entrambe radicate nel territorio in cui operano. Ma in molti altri luoghi il processo è in atto in maniera sorprendente. Ramón Vera, un militante messicano di base scrive:
I villaggi, le comunità, le collettività indigene e contadine, ma anche i collettivi urbani delle periferie e delle favelas sanno che per rompere le recinzioni devono rivendicare la propria capacità di sussistenza, la produzione autonoma di alimenti, la costruzione collettiva di saperi non
certificati, la propria storia, la propria analisi delle condizioni che pesano sul territorio, i propri canali su cui fare affidamento, la propria iniziativa, la propria integrale e radicale capacità di autogestione.
Lavorare per progetti comunitari condivisi, insistere sugli spazi di riflessione collettiva,recuperare la storia, approfondire le analisi e rafforzare la creatività sociale fa crescere infatti modi pertinenti di apprendere che sono diversi dall’addomesticamento imposto dalla scuola occidentale.

In questo spirito mi pare che operi, in modo forse più modesto ma significativo, anche l’esperienza della Libera Università Popolare di Livorno, per aiutare a liberare dal basso la nostra cultura dalla camicia di forza impostale dal pensiero capitalista, patriarcale, individualista, competitivista che ci sta portando a quella guerra di tutti contro tutti che ci sta sovrastando.

Nessun commento:

Posta un commento